RINNOVARE NOI STESSI SENZA SMARRIRE NOI STESSI, RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE EUGENIO STANZIALE

"Celebriamo oggi il 6° congresso della Filt Cgil di Roma e del Lazio. Il nostro congresso, forse stantio e ripetitivo come ci dicono, ma è questo congresso, con tutti i suoi limiti, che noi dobbiamo custodire gelosamente, perché è quello che consente realmente una partecipazione e un coinvolgimento riflessivo da parte delle iscritte e degli iscritti, delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ la diga a questa idea di democrazia diretta che porta con se la disintermediazione e la solitudine della classe lavoratrice. E’ una diga riflessiva contro la prevalenza della emotività sulla ragione, della frase ad effetto contro l’articolazione di un pensiero lungo. Lo spirito dei tempi che sta portando la più grande conquista della civiltà occidentale: la democrazia, verso un modello autoritario e illiberale.

Questo nostro congresso si svolge un’epoca di inaudite diseguaglianze economiche, di crescente autoritarismo, di degrado della società con aggressioni alla democrazia, ai diritti umani, alla dignità dell’uomo, alle conquiste delle donne, compito della Cgil, per la sua storia e per i suoi valori, non può essere che quello di opporsi a questa deriva e lottare per fare di questo mondo un posto migliore ed accogliente. Ma per fare questo occorre ripensare profondamente noi stessi. Dare vigore alle nostre radici. Esaltare l’unità nelle differenze. Ma da dove cominciare?


Tra i Sami, una popolazione della Lapponia, ci sono degli sciamani chiamati “dottori della parola” questi guariscono con il potere delle parole, anche quello di far passare il mal di testa. “I confini del mio linguaggio, determinano i confini del mio mondo” scriveva Wittgnestein. Noi siamo fatti delle nostre parole.

Ecco da dove ricominciare. Dobbiamo ricostruire un lessico sindacale che sia in grado di suscitare, nel mondo diffuso, parcellizzato, e sempre più disintermediato del lavoro, nuovi entusiasmi. Oggi è cambiato il lavoro ma ancora di più cambierà nel futuro. Il sindacato ha il compito di offrire una prospettiva alta e diversa al lavoro che non sia merce ma dignità. Le parole sono le vele, le bussole e le carta geografiche, anzi il gps per rimanere moderni, che ci devono aiutare a solcare gli imbizzarriti oceani della nostra contemporaneità. Comporre la trama di una nostra nuova narrazione. Il linguaggio ci deve servire ad ampliare i nostri confini, ad uscire dal recinto confortante nel quale ci siamo maldestramente chiusi. Riconquistare la fiducia del mondo che vogliamo rappresentare, per costruire una società in cui si possa vivere tutti quanti meglio. Per riuscirci bisogna cominciare con il mettere in discussione noi stessi ma senza rinunciare alle nostre radici. In uno slogan: “Rinnovare noi stessi senza smarrire noi stessi”.

Spesso dimentichiamo l’importanza delle parole, le diamo per acquisite. Le nostre parole, anche tra di noi, sono diventate statiche, senza anima, anche quello che spariamo ad alto volume dai palchi o nelle piazze. Le nostre parole non trasmettono più emozioni e sensazioni. Il mondo che noi diciamo di voler rappresentare non ci crede più, non ha più fiducia nelle nostre parole.

Ripetiamo spesso che il mondo del lavoro è cambiato, ma se il mondo del lavoro è cambiato non può
che cambiare anche il nostro modo di stare tra i lavoratori. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo vocabolario che riesca a dare futuro alle parole che appartengono alla nostra comunità: libertà, democrazia, uguaglianza, solidarietà, inclusione, diritti, doveri, beni comuni, conquiste sociali. Con queste parole costruire una progetto da contrapporre al liberismo, al populismo e al sovranismo espressioni delle destre politiche oggi egemoni.

Le nostre parole devono essere proiettate nel futuro per dare luce e sostanza ai diritti civili, ai diritti sociali, al modello di sviluppo che non può essere in continuità con il disastro e la devastazione ambientale che oggi porta con sé. Come si produce e quello che si produce è connesso alla qualità del lavoro e ai diritti. Contrapporsi a questo modello di sviluppo, anche opponendosi ad accordi che da un lato producono occupazione ma dall’altro creano profitto per pochi e disastro ambientale per tutti è il ruolo e il compito del sindacato. Non possiamo permettere che le nostre parole finiscano sotto le macerie di questo nuovo capitalismo, che nega i diritti umani e il cambiamento climatico.

Creiamo con il tessuto delle nostre parole quella vela della solidarietà da issare sulla nostra nave per farla salpare nuovamente verso le nuove rotte che ci aspettano. Senza aver paura dell’ignoto. Ci siamo incagliati ma dobbiamo avere il coraggio e la forza di ripartire: a questo serve un congresso. Le parole per suscitare nuove speranze, nuove passioni.

Abbiamo bisogno di UN PROGETTO. Abbiamo elaborato un nostro pensiero sul mondo? Oppure ci siamo invischiati in discussioni sterili al nostro interno?. Guardate che siamo entrati in quelli che gli storici a posteriori definiscono il cambio di un’epoca. In un mondo completamente diverso. Un sindacato moderno e confederale non può snobbare il tema del modo di produrre e del consumo, del profitto che ha divorziato dalla proprietà generando enormi diseguaglianze, del tema ambientale ed ecologico, della sostenibilità sociale, di quale architettura necessitano, in questo contesto, le protezioni sociali diverse da quelle del mondo industriale del secolo scorso. Di come ci organizziamo per opporci a tutto ciò. Oggi il mondo è più piccolo perché connesso ma anche fragile e sempre più nevrotico, il nostro compito non è quello di arrenderci all’ineluttabile, sento dire da molti dirigenti del sindacato che anche la stragrande maggioranza dei nostri iscritti è sensibile a certi temi agitati dalle destre, ma che vuol dire. Io non mi stancherò mai di oppormi alle sciocchezze perché sono convinto che un mondo migliore è possibile e per questo dobbiamo provare a sfidare il pensiero dominante tra l’opinione pubblica. Valori condivisi, confronto aperto, inclusione sociale, eguaglianza delle opportunità, conoscenza e merito, competenze responsabili, mutua collaborazione, parità di genere, welfare e diritti, modello di sviluppo e consumi. Questo è il tracciato sul quale ci muoviamo, e che ha trovato una sua elaborazione nel documento congressuale, che è stato votato dalla stragrande maggioranza dei nostri iscritti, ed è stato al centro del dibattito nelle assemblee congressuali, ma ogni programma ha valore solo se vive nella realtà, se trova consenso nella nostra quotidiana attività sindacale, se si aggiorna al contesto e alla situazione politica.

IL LAVORO E’…non a caso è il titolo sospeso del nostro documento congressuale. Il lavoro è, come afferma Fromm, il grande emancipatore dell’uomo e della donna. Il lavoro ci modifica. La storia dell’umanità ha inizio quando l’uomo comincia a lavorare. E’ con il lavoro che si acquista consapevolezza del proprio essere individui, persone, cittadini. L’evoluzione dell’umanità si fonda sul lavoro. Il lavoro che conferisce pienezza di cittadinanza, sui diritti del lavoro poggiano i muri maestri dell’edificio democratico, non meno che sui diritti civili e politici. 

Il lavoro è…ma il lavoro anche non è…non è più a tempo determinato, in fabbrica o in ufficio che sia, è nella precarietà, nella frantumazione, nella digitalizzazione, nei mille nuovi lavori a noi sconosciuti, non è più in una identità collettiva, di classe se volete, ma in un insieme di solitudini, dove i legami di solidarietà e di interesse si disperdono in tanti piccoli egoismi. Però nel lavoro, così come viene declinato oggi, si racchiude il più autorevole critico dell’attuale modello liberale e capitalista di sviluppo. Noi dobbiamo intercettare questa critica. Compito del sindacato è liberare l’individuo dal lavoro inteso come schiavitù e merce. Il lavoro che istupidisce la vita umana riducendola ad una forza materiale, scriveva Marx. (...)