Inizia oggi il referendum che consentirà agli oltre 12.000 dipendenti di Alitalia di dire se sono favorevoli o contrari al verbale d’intesa del 14 aprile.
Delle tante crisi che si sono susseguite negli anni, spesso con il fallimento di fatto dell’impresa o l’uscita degli azionisti come nel 2008 e nel 2014, è la prima volta che l’esito di una crisi non viene assunta solo dalle organizzazioni sindacali.
In assenza del verbale o pre-intesa la decisione degli azionisti di Alitalia (banche e Ethiad), di esaurire la liquidità e di non dar corso a nessun aumento di capitale, era già stata presa.
Fermare quindi quella decisione, anche con un verbale in alcune parti non frutto della nostra volontà, era fondamentale.
Nessun sindacato degno di questo nome poteva decidere di portare Alitalia verso un ignoto pericolosissimo senza ascoltarli. La crisi attuale, che vedrà un disavanzo di circa 600 mln di euro su meno di 3 mld di fatturato nel 2016, è
peggiore di quelle precedenti in quanto alle porte di Alitalia non vi è alcun nuovo investitore come non vi è nessuno che voglia prestare risorse. E nessun investitore pubblico può rilevare imprese prossime alla liquidazione.
Piani industriali e alleanze sbagliate, una concorrenza acutissima nel lungo raggio ma soprattutto nel corto raggio per le low cost e l’alta velocità, hanno visto scendere negli anni i ricavi anziché aumentarli.
In 20 anni, mentre Alitalia perdeva il 30% del suo traffico, le altre compagnie ex di bandiera lo raddoppiavano. Una crisi dentro lo sviluppo generale. Ormai non vi sono aree protette e non servono le nostalgie di cosa era Alitalia 30 anni fa. Negli anni si è scelto di ridurre aerei, di ridurre le attività di volo e di terra, di terziarizzare, di licenziare parte del personale, salvo scoprire che il disavanzo restava uguale.
Azionisti e management cambiati continuamente ma che sempre, sono i numeri a dirlo, hanno sbagliato le proprie scelte e che quindi si sono dimostrati impreparati a gestire una impresa in un mercato totalmente cambiato. Degli attuali azionisti, quelli italiani, per dire quanto conta la bandiera, non vedevano e non vedono l’ora di dismettere la propria partecipazione non appena se ne dia un valido motivo.
Il piano industriale era e rimane una cornice che non da garanzie sul futuro. Nemmeno sulla carta. E lo abbiamo detto
e ripetuto.
In questa condizione si è arrivati al 14 aprile e con pochi giorni disponibili davanti prima della fine della cassa che comporta immediatamente la richiesta di ogni creditore o fornitore di servizi o carburante di essere pagato al momento. Dal 14 aprile al voto del referendum si sono susseguite tutte le interpretazioni possibili. Proprio coloro che dicono che in fondo tutto va bene, che non c’è nessun pericolo alle porte, hanno diffuso notizie e dati catastrofici
derivanti dai possibili accordi in molte parti totalmente falsi.
Il rischio che, come in ogni voto e soprattutto in questi anni, si sommino ragioni diverse, vissuti personali e collettivi, è evidente. Resto convinto che anche un insufficiente e precario verbale d’intesa sia preferibile al riconsegnare ogni
atto e decisione agli azionisti.
In ogni caso, con il referendum faremo nostro il volere dei lavoratori Alitalia. Subito dopo il voto le strutture Filt e le Rsa verranno, come sempre fatto in questi mesi, convocate per valutare e decidere insieme.
Delle tante crisi che si sono susseguite negli anni, spesso con il fallimento di fatto dell’impresa o l’uscita degli azionisti come nel 2008 e nel 2014, è la prima volta che l’esito di una crisi non viene assunta solo dalle organizzazioni sindacali.
In assenza del verbale o pre-intesa la decisione degli azionisti di Alitalia (banche e Ethiad), di esaurire la liquidità e di non dar corso a nessun aumento di capitale, era già stata presa.
Fermare quindi quella decisione, anche con un verbale in alcune parti non frutto della nostra volontà, era fondamentale.
Nessun sindacato degno di questo nome poteva decidere di portare Alitalia verso un ignoto pericolosissimo senza ascoltarli. La crisi attuale, che vedrà un disavanzo di circa 600 mln di euro su meno di 3 mld di fatturato nel 2016, è
peggiore di quelle precedenti in quanto alle porte di Alitalia non vi è alcun nuovo investitore come non vi è nessuno che voglia prestare risorse. E nessun investitore pubblico può rilevare imprese prossime alla liquidazione.
Piani industriali e alleanze sbagliate, una concorrenza acutissima nel lungo raggio ma soprattutto nel corto raggio per le low cost e l’alta velocità, hanno visto scendere negli anni i ricavi anziché aumentarli.
In 20 anni, mentre Alitalia perdeva il 30% del suo traffico, le altre compagnie ex di bandiera lo raddoppiavano. Una crisi dentro lo sviluppo generale. Ormai non vi sono aree protette e non servono le nostalgie di cosa era Alitalia 30 anni fa. Negli anni si è scelto di ridurre aerei, di ridurre le attività di volo e di terra, di terziarizzare, di licenziare parte del personale, salvo scoprire che il disavanzo restava uguale.
Azionisti e management cambiati continuamente ma che sempre, sono i numeri a dirlo, hanno sbagliato le proprie scelte e che quindi si sono dimostrati impreparati a gestire una impresa in un mercato totalmente cambiato. Degli attuali azionisti, quelli italiani, per dire quanto conta la bandiera, non vedevano e non vedono l’ora di dismettere la propria partecipazione non appena se ne dia un valido motivo.
Il piano industriale era e rimane una cornice che non da garanzie sul futuro. Nemmeno sulla carta. E lo abbiamo detto
e ripetuto.
In questa condizione si è arrivati al 14 aprile e con pochi giorni disponibili davanti prima della fine della cassa che comporta immediatamente la richiesta di ogni creditore o fornitore di servizi o carburante di essere pagato al momento. Dal 14 aprile al voto del referendum si sono susseguite tutte le interpretazioni possibili. Proprio coloro che dicono che in fondo tutto va bene, che non c’è nessun pericolo alle porte, hanno diffuso notizie e dati catastrofici
derivanti dai possibili accordi in molte parti totalmente falsi.
Il rischio che, come in ogni voto e soprattutto in questi anni, si sommino ragioni diverse, vissuti personali e collettivi, è evidente. Resto convinto che anche un insufficiente e precario verbale d’intesa sia preferibile al riconsegnare ogni
atto e decisione agli azionisti.
In ogni caso, con il referendum faremo nostro il volere dei lavoratori Alitalia. Subito dopo il voto le strutture Filt e le Rsa verranno, come sempre fatto in questi mesi, convocate per valutare e decidere insieme.